Ripartire dall’educazione, fattore decisivo di libertà

Quando prevale l’ideologia sull’osservazione si forma il troppo potere.
Si genera un deficit di libertà. E una fuorviante, perché orientata, concezione di Stato, società, politica, cultura, diritti della persona. Si afferma una sottrazione di verità. Un integralismo valoriale contro l’uomo, la comunità. Il punto di frattura è l’aver messo in castigo l’educazione. Ma ripartire da lì rimane l’unica certezza. Per riannodare il filo con l’essenziale. Perché “educare è proporre una risposta a una domanda che vivi tu”, diceva don Giussani, educatore.


22 aprile 2022

Annacquare è un po’ spegnere l’umano.

Si fatica ad orientarsi, i legami tengono poco, i “slegami” in nome dell’individualistico “ciò che posso voglio” scandiscono il presente. Ci si interroga sui motivi di uno strappo innaturale. E, non di rado, riecheggia come ragione dello sfarinamento l’aver perso (o voluto perdere) per strada l’educazione.

Questione centrale, decisiva: che non riguarda in prima battuta i ragazzi come verrebbe più facile ma che investe la responsabilità degli adulti. Sono sì, latitanti.

Davanti a quel che viviamo e vediamo tutti i giorni, nelle cose ordinarie come nei grandi shock della Storia (la guerra in corso, ovviamente) la trascuratezza dell’elemento educativo ha determinato fratture sostanziali che hanno favorito il sorgere e l’alimentarsi di troppo potere. Ne hanno fatto le spese: l’uomo, la libertà, la cultura. E quindi la società, la politica, lo Stato e il potere stesso.

La cultura secondo il potere

Dal nostro osservatorio, artigianale esperienza di riflessione e proposta, la triade “educazione – libertà – cultura” ci appare urgenza dirimente. Non possono che stare insieme.

La storia è nota. I poteri hanno sempre voluto fare cultura, averne a che fare, mischiarsi con essa, per lo più dirigendola o affidandola a mani sicure.

Ma c’è qualcosa di più potente e temibile di questo impasto, di questa splendido macroclima, che sono i valori, che è la cultura?

Ecco la libertà. E tutto l’io che in essa consiste, esiste: punto di esistenza, motivo di esistenza di ogni realtà del nostro pianeta. Forse anche del cosmo. Un puntino che sta fuori dal cerchio del flusso della storia, dei suoi (e dei tuoi) antecedenti.

Senza l’educazione la cultura diviene un patrimonio fermo, assoluto, che non si incarna più. L’unica condizione per cui rimanga incarnato è sottoporla alla sfida del significato, della prova. E dunque alla necessità della libertà di esistere fino alla sua soddisfazione.

L’atroce rottura avvenuta nel tempo e che va ripetendosi (come europei l’avvertiamo, la viviamo) è la dismissione di una tradizione dapprima avvenuta nei padri -che non hanno verificato coi figli e con sé stessi- e poi con la scomparsa della tradizione stessa, la scomparsa della grande ipotesi con cui fare i conti. Come, ancora una volta e non soggettivamente, avvertiva Pasolini «Povera generazione, che non potrai neanche riandare a quello che non avendo avuto non hai neanche perduto» (Poesia della tradizione, in Trasumanar e Organizzar).

Volto versus vaso

Nell’incontro col giovane nasce il riproporsi della genesi della cultura.

Nell’evitarlo nasce la conservazione di una cultura “ridotta” senza possederne più il senso. Per questo c’è la guerra. Le guerre all’attacco del pensiero libero. Dalle superpotenze alla furia dell’integralismo islamista; dalla Russia alle nuove religioni del pensiero unico dei diritti individuali.

E cultura ridotta significa anche trattare l’altro, l’altra persona solo come un vaso da riempire. Una frase di Plutarco che fa bella mostra di sé nella sede milanese di Portofranco è un bel punto di partenza: “I giovani non sono vasi da riempire sono fuochi da accendere”. Questa è ipotesi educativa e non progetto ri-educativo.

Volto versus vaso. Il potere, il troppo potere che non ama la libertà e la verità della persona ci vuole tutti vasi vuoti da riempire dei suoi valori.

Infatti, oggi la cultura laica dopo decenni di nichilismo e relativismo sente il bisogno di alimentarsi ad alcuni valori. Ma intellettualizzando, senza esprimere l’atteggiamento del bisogno. Dunque senza corpo, senza sacrificio, senza non dover mentire.

Alla domanda, quali sono a suo parere gli elementi più diseducatori di questa società? Così rispondeva don Luigi Giussani: “Direbbe Alexis Carrel nelle sue Riflessioni sulla condotta della vita che il pericolo più grave della nostra società, dal punto di vista della formazione dell’uomo, è il prevalere dell’ideologia sull’osservazione. Invece che essersi abituati a sviluppare l’attenzione e la sensibilità alla modalità concreta delle proprie esigenze umane, e perciò alla loro verità essenziale, si è abituati ad ovviare al grido che portano tali esigenze ripetendo definizioni e discorsi già fatti”.

E ancora: “Questa separazione dal proprio io originale e dalla propria storia rende operante un clima di menzogna. La menzogna è la connotazione più diseducativa della nostra società. Ed è divenuta, proprio perché la nostra società è ideologizzata e determinata quindi da elementi di propaganda, sempre più normale, addirittura normativa”.

La madre di tutte le sfide

La sfida più grande che le società si trovano ad affrontare è quella educativa rispetto alla quale le altre, quella economica, sociale, politica, della pace, non sono che conseguenze. La più grande perché la più appassionante, la più grave per quel fenomeno che si chiama “emergenza educativa” globale.

Si tratta allor di riaprire la propria vita di adulti perché la proposta all’altro, stoffa della educazione, faccia ritornare il tema della libertà, della verità: in che cosa consista entrare da uomini nella realtà tutta, come vivere nel tempo e nella storia così come sono, anzitutto, prima di cambiarle o ritirarci dalla sfida se qualcosa ci è promesso di buono e rispondere: “no”.

Un educatore, per passione e non per mestiere, è stato, per l’appunto don Luigi Giussani, sacerdote milanese, ispiratore, guida e carisma di Comunione e Liberazione di cui ricorre in questo 2022 il Centenario della nascita. “Educare è proporre una risposta a una domanda che vivi tu”, diceva.

Il punto da cui ripartire è proprio il cuore umano con le sue esigenze e le sue attese che non può essere ridotto ai fattori antecedenti. Siano essi religiosi, culturali, familiari. Con il Ciclo “Educare oggi. Confronti” al Centro Culturale di Milano desideriamo aprire a queste domande e confrontarci con una delle proposte educative tra le più interessanti del Novecento e dei nostri giorni. Così efficacemente espresse nel suo libro Il Rischio educativo.

Il problema della educazione dei giovani è allora tutto qui: se noi abbiamo una risposta adeguata all’urgenza del vivere. In modo da poterla comunicare, vivendo.

L’educazione è un tuffo nell’esperienza viva della relazione. Un rischio che vale la pena prendersi.