Europa in fiamme
Se questa è Polonia

Cosa succede a Varsavia? Quale vento spira nel cuore dell’Europa orientale? Un Paese a trazione populista che sta guerreggiando con l’Ue e con il concorso di colpa della Bielorussia del dittatore Lukaschenko, permette il dramma umanitario di profughi nella “terra di nessuno”. Intervista a Luigi Geninazzi, giornalista, già inviato del settimanale Il Sabato e del quotidiano L’Avvenire, profondo conoscitore di cose polacche.

Conversazione di Enzo Manes con Luigi Geninazzi
19 febbraio 2022

Non è mai un caso. Quando l’Europa soffre, la Polonia è un territorio che sanguina. E spesso in quel territorio dell’est fischia la bufera. Centro gravitazionale della grande storia. Per dire, solo nel Novecento, l’invasione nazista che annunciava l’alba della Seconda guerra mondiale. E poi la domanda di libertà che sfociava nella stagione di Solidarnosc, la voce degli operai di Danzica, la presenza di una Chiesa viva e mai genuflessa al potere; evidenze del prossimo tramonto del totalitarismo presidiato dall’impalcatura ideologica del socialismo reale.
Ora, è ancora la Polonia a far parlare di sé, a richiamare l’attenzione del mondo, a preoccupare il mondo. Oggi la tensione è con l’Unione Europa di cui è parte non marginale. Un drammatico scontro per via di quella terra di nessuno che divide la Polonia dalla Bielorussia del dittatore Lukascenko dove sono intrappolati migliaia di profughi richiedenti asilo provenienti per la maggior parte dal Medio Oriente e dal Maghreb, schiacciati dalla pressa di una politica che si rimbalza le responsabilità per ragioni di Stato che nulla hanno di ragionevole. Da una parte un satrapo. Dall’altra un governo che spedisce quindicimila soldati ad impedire l’ingresso in terra polacca di quei poveri cristi. Innalzando filo spinato e programmando la costruzione di un muro. Una situazione dove nessuno è innocente. Neppure l’Unione europea che sta a guardare. E con i media che sempre meno si occupano di quella tragedia

Dalla rivoluzione conservatrice alla voce grossa con l’Ue
 «Il contenzioso tra Polonia e Unione europea è una storia lunga e complessa, iniziata all’indomani delle elezioni politiche del 2015 stravinte dal PiS (Diritto e giustizia), il partito di destra guidato da Jaroslaw Kaczynski che dopo otto anni di opposizione va al potere deciso a realizzare la “rivoluzione conservatrice” che fa perno sul cambiamento del sistema giudiziario che, secondo il PiS, sarebbe infiltrato e dominato ancora da giudici comunisti, nonostante siano passati oltre  trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino». Così Luigi Geninazzi che è stato inviato (Il Sabato, L’Avvenire) e tuttora è attento analista che conosce presente e passato dell’Europa geograficamente e geopoliticamente collocata oltre Cortina e, in modo particolare, la Polonia più volte frequentata soprattutto durante il pontificato di Karol Wojtyla. Geninazzi fa un po’ di cronaca per introdurci alla fase di questo grande freddo. Spiega: «Il primo scontro tra Ue e Polonia porta la data del dicembre 2015 e riguarda alcuni cambiamenti introdotti nella nomina dei giudici della Corte costituzionale. Nel 2017, nonostante le massicce manifestazioni di protesta, viene approvato un pacchetto di leggi che riguarda l’intero sistema giudiziario. In particolare la riforma prevede il prepensionamento dei giudici della Corte suprema sostituiti con un atto del ministro della Giustizia che, in seguito ad una modifica precedente, ricopre anche la carica di Procuratore generale. Di fatto tutti gli organi (Corte Costituzionale, Corte suprema, tribunali ordinari, Consiglio superiore della magistratura) vengono epurati e sottoposti al controllo diretto del governo. La Commissione europea ritiene che sia stato violato il principio fondamentale dell’indipendenza del potere giudiziario da quello politico, sancito dagli art. 19 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, e diffida la Polonia dal mettere in atto la riforma. Tra Bruxelles e Varsavia c’è una discussione serrata e continua che non porta ad alcun esito. Nel luglio del 2018 la Commissione europea avvia una procedura d’infrazione nei confronti della Polonia “per gravi violazioni dello stato di diritto” e minaccia l’applicazione dell’art. 7 del Trattato dell’Unione che prevede la sospensione del diritto di voto di un Paese membro.  Il braccio di ferro continua, nonostante le sentenze della Corte di giustizia della Ue che danno ragione alla Commissione ed intimano alla Polonia di modificare sostanzialmente la riforma giudiziaria. Recentemente è arrivata la risposta della Corte costituzionale di Varsavia che ha dichiarato la supremazia delle leggi nazionali su quelle comunitarie e ha innescato un dibattito che ha coinvolto politici, giuristi e opinione pubblica. In realtà il problema non è giuridico ma politico, con dirette ricadute sull’economia. Non va dimenticato che i fondi del Recovery Fund destinati alla Polonia, ovvero 57 miliardi di euro sommando prestiti e sovvenzioni, al momento rimangono in naftalina».

Danzica, 1980

 

Contrasti ideologici
Tuttavia, secondo Geninazzi, una delle principali ragioni di fondo dell’alto tasso di litigiosità in corso tra Polonia e Ue risiede in polemiche ideologiche che si sovrappongono a quelle giudiziarie. Dice: «La Polonia viene accusata di violare i diritti delle donne e delle persone Lgbt. In particolare, dopo una nuova legge sull’aborto molto restrittiva entrata in vigore nel 2020, il parlamento europeo ha approvato una mozione di condanna della Polonia per aver negato “il diritto umano all’aborto”. Ma né la legislazione dell’Unione europea né la Convenzione europea dei diritti dell’uomo prevedono il diritto all’aborto. E val la pena di ricordare che le questioni riguardanti la protezione della vita, la famiglia e in generale la sfera etico-sociale non sono di competenza dell’Unione europea ma dei singoli Stati membri. Purtroppo, a livello mediatico, il contenzioso sul sistema giudiziario e la polemica ideologica sono diventati un tutt’uno, provocando un corto circuito che aumenta la confusione e dà al governo polacco un potente alibi: ‘Ecco, vedete, vogliono distruggere i valori tradizionali e la nostra identità cristiana’. Su questi temi l’Unione europea appare incredibilmente miope e settaria. E, dal canto suo la Polonia, si muove spesso come un elefante in cristalleria, basti pensare alle cosiddette Carte contro l’ideologia Lgbt approvate da 5 voivodati (così si chiamano le province) e poi ritirate in seguito alla minaccia di Bruxelles di bloccare i fondi europei destinati a quelle province». Negli ultimi tempi il Parlamento polacco ha approvato una legge definita Stop Lgbt e, per Geninazzi si tratta di una circostanza che innescherà nuove infuocate polemiche. «Ma va riconosciuto che uno dei motivi del largo consenso goduto dal PiS, riconfermato al potere nel voto del 2019, è proprio la sua politica a sostegno della famiglia e della natalità. Ha introdotto il 500 Plus, un sussidio di 500 zloty al mese, circa 125 Euro, per ogni figlio, a partire dal secondo. Una misura resa possibile anche dall’ottima performance economica della Polonia», chiarisce.

Profughi ostaggio di una politica miope
E veniamo alla terribile vicenda dei profughi usati dalla Bielorussia e respinti dal governo di Varsavia. «Un problema di enorme portata che, a dire il vero, è iniziato quest’estate anche se sulle prime pagine dei media è arrivato solo a novembre», racconta. «Le misure di repressione adottate dal governo polacco per fermare l’immigrazione clandestina stanno legittimamente sollevando proteste, qualcosa anche in patria ma per lo più al di fuori. Alcune autentiche, altre interessate. E’una questione esplosa negli ultimi mesi, allorché il dittatore bielorusso Lukashenko ha iniziato a “importare” profughi dal Medio Oriente ma anche dall’Afghanistan per poi scaricarli al confine con la Polonia e la Lituania. Si calcola che da agosto oltre 20 mila profughi abbiano tentato di entrare in Polonia dalla Bielorussia. Di fronte a questa improvvisa ondata il governo polacco ha reagito con durezza, non già nei confronti del dittatore bielorusso, ma dei poveracci che fuggono dalla guerra e dalla fame, respinti dall’esercito e costretti a rimanere in una “terra di nessuno”, in mezzo ai boschi. Ci sono donne e bambini.  Vi sono stati morti a causa delle condizioni disumane, privi di cibo ed esposti al freddo. Il governo di Varsavia ha deciso di costruire un muro lungo i 200 chilometri di frontiera con la Bielorussia. Ma di fronte a questa situazione l’Unione europea non batte ciglio, limitandosi ipocritamente ad affermare che non finanzierà la costruzione del muro. Tuttavia, proprio in nome dell’ambiguità, sulla politica immigratoria di Varsavia non c’è e non ci sarà alcuna procedura d’infrazione europea per la violazione di fondamentali diritti umani».

Una Chiesa timida
La Chiesa polacca fa fatica a smarcarsi dalla politica del governo. Ha richiamato al dovere dell’aiuto verso i migranti, ha promosso raccolta di fondi in loro favore e tramite la Caritas ha cercato di soccorrere in qualche modo i profughi bloccati al confine con la Bielorussia. Ma non ha mai criticato i respingimenti compiuti dall’esercito, la cui azione “a difesa dei confini della patria” viene riconosciuta e apprezzata. «Il governo, che si presenta sempre come il grande difensore della nazione, trova spesso appoggio nelle dichiarazioni degli uomini di Chiesa.  E Lech Walesa, premio Nobel per la Pace, già presidente della Polonia e fondatore nonché leader storico di Solidarnosc, è poco o per nulla ascoltato. Appare isolato dietro le lenti gialle dei suoi occhiali. Prova a comunicare attraverso un utilizzo massiccio e continuo dei social network, ma questo attivismo non lo sta premiando. E’come se fosse preso dentro un simbolico cordone sanitario costruito dalla propaganda interna impegnata a screditarlo. C’è una lotta anche sull’eredità ideale di Solidarnosc, divenuto ormai uno slogan per coprire operazioni di potere. E la Chiesa è schiacciata da una soffocante ideologia nazionalista anche per difendersi da un processo di laicizzazione nella società sempre più aggressivo e anti-clericale. C’è qualche voce critica nell’episcopato ma è assolutamente minoritaria. Non mancano comunque posizioni diverse tra i fedeli. Molti di loro, ad esempio, si sono mossi autonomamente per fronteggiare la crisi umanitaria dei profughi, prestando soccorso nella misura del possibile alla povera gente ormai allo stremo delle forze».

Fra due anni il Paese al voto
Nel 2023 la Polonia andrà alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Si possono prevedere novità? Geninazzi, con tutta la doverosa cautela, sembra escluderlo. «Ribadisco: il governo continua ad essere molto popolare e la crisi dei migranti ha giovato alla sua immagine di fermezza e di patriottismo. Ma due anni non sono pochi. Bisogna vedere se l’opposizione riuscirà ad organizzarsi intorno a un programma credibile e a una leadership autorevole. L’attuale sindaco di Varsavia, Rafal Trzaskowski, di formazione laica e con un certo carisma, potrebbe essere una figura interessante. Come non è da escludere un ritorno sulla scena di Donald Tusk, primo ministro dal 2007 al 2014 e presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019.Diciamo che all’opposizione la situazione è fluida per non dire complessa. Mentre il governo, potendo contare sull’appoggio pressoché totale dei mezzi di comunicazione, è in perenne campagna elettorale. Non è un caso, infatti, che tutti i mesi venga commemorato dal premier l’incidente aereo del 10 aprile 2010 allorché un tupolev dell’aeronautica militare polacca precipitava con a bordo, tra gli altri, il presidente della Repubblica Lech Kaczynski e sua moglie: nessun superstite, 96 morti compresi i membri dell’equipaggio. Fu uno choc per il Paese. E il regime attuale ne sfrutta il ricordo con una commemorazione che viene trasmessa, ogni volta, in diretta dalla televisione. In pratica quel gesto si trasforma in una manifestazione politica del governo populista. E, naturalmente, sempre in favore di telecamera».

Viene da chiedersi se l’accelerazione populista e sovranista del regime polacco che sta determinando un conflitto quotidiano con Bruxelles possa infine portare all’uscita di Varsavia dall’Ue. Geninazzi non crede a questa eventualità. E lo motiva così: «I numeri dicono che l’80 per cento dei polacchi è favorevole all’Europa. Fanno gola i soldi dell’Ue, rinunciarvi significherebbe un crollo per l’economia del Paese e un ritorno generalizzato alla povertà. Certo, gli attuali governanti polacchi sono euroscettici, ma non al punto tale da mettersi di traverso al popolo che su questo argomento non ci sente proprio».

Solidarnosc