Siria: jihad e martirio La testimonianza di Samaan Daoud, cristiano di Damasco

Samaan Daoud, 44 anni, è di nazionalità siriana e di fede cristiano cattolica. Faceva la guida turistica per stranieri, in particolare per turismo religioso e gruppi di pellegrini, ricavandone un discreto stipendio: del resto conosce bene le lingue e la storia delle chiese. Poi la guerra ha azzerato il turismo in Siria e dal 2012 Samaan guadagna il pane facendo la guida ai giornalisti occidentali cosiddetti di guerra, quelli – non sono tanti, ma per fortuna ci sono – che vanno davvero sul campo per vedere e raccontare le cose come stanno, e non come gli vengono dipinte dalle fonti informative della Cia o dei jihadisti, o da network come Al Arabyia e Al Jazeera che hanno trasmesso messaggi che invitavano i musulmani a combattere nelle primavere arabe, fomentando il disordine.

Uno di questi giornalisti, Gian Micalessin, parla di Samaan come di “un amico senza il quale non porterei a casa la pelle”. Samaan ha accompagnato proprio Micalessin al Meeting per l’amicizia tra i popoli di Rimini, a fine agosto, ed è rimasto le due settimane successive in Italia, percorrendola da Nord a Sud per decine di conferenze ed incontri in cui dire a tutti che quello che accade in Siria non è come ce lo raccontano. Una piccola grande operazione di servizio alla conoscenza, perché come disse Che Guevara “un popolo ignorante è un popolo facile da ingannare”, e d’altra parte, come cantò Enzo Jannacci, “la gente, sai, magari fa anche finta, però le cose è meglio fargliele sapere”. Sta di fatto che la road map della conoscenza si è conclusa a Melzo (Milano) – pensa un po’ le coincidenze – l’11 settembre, giorno dell’attentato di 13 anni fa alle Twin Towers. Il giorno dopo Samaan è partito per la sua Siria.
Eran (quasi) trecento quelli venuti ad ascoltarlo nella serata promossa dal Centro Culturale Marcello Candia in collaborazione con cinque centri della zona (San Mauro di Gessate, Idea e Azione di Gorgonzola, Don Renzo Fumagalli di Cambiago, Newman di Cernusco, Sant’Andrea di Carugate) e con la preziosa ospitalità della Comunità Pastorale San Francesco di Melzo.

Ai (quasi) trecento Samaan ha raccontato di una Siria di normale millenaria convivenza tra gente di fedi diverse, e di dignitosa condizione di vita, presa di mira dall’esterno da un “progetto diabolico” in cui si intrecciano la jihad dei fanatici sunniti e il “caos controllato” degli strateghi americani. Il caos controllato è la grande pensata di Condoleeza Rice, alla metà del decennio scorso, che ha di fatto dato corda ai fanatici sunniti nell’intento di destabilizzare i paesi presidiati dai vari Saddam Hussein, Gheddafi, Mubarak, Assad. Tutte teste rotolate, tranne quella del capo siriano, e sostituite appunto dal caos (Iraq e Libia), o da un nuovo dittatore militare (Egitto). I fanatici combattenti hanno innescato una guerra santa che va a petrolio (e soldi) di Arabia Saudita e Qatar, passa attraverso la frontiera della Turchia lasciata ben aperta dal fratello musulmano sedicente democratico Erdogan, arma, rafforza e cerca di estendere il Califfato di Abu Bakr Al-Baghdadi, massacra i cristiani ma anche, ormai, i musulmani non fanatici come loro. L’ospite siriano ha definito questi cristiani “i martiri viventi”, perché ogni giorno potrebbero essere uccisi a causa della fede: cosa che è peraltro accaduta a migliaia di loro. Ed ha lanciato un appello a non lasciarli soli.
Samaan ha iniziato le sue due seguitissime ore di appassionata testimonianza presentandosi come un uomo semplice, un uomo comune, cosciente di appartenere come un figlio alla culla del cristianesimo, a una fede e una cultura millenarie. Ha detto così: “Mi chiamo Samaan, che vuol dire Simeone, cioè colui che ascolta il Signore; e Daoud che vuol dire Davide. Sono nato a Damasco, la capitale più antica del mondo tra quelle ancora abitate, dove San Paolo, dopo la caduta da cavallo e la conversione, è stato battezzato da Anania. Dove sorge una chiesa dedicata a Sant’Anania in cui ho molte volte pregato”.

Dove c’è anche la grande moschea ommayyade che contiene la tomba di Giovanni Battista, sulla quale ha potuto pregare anche Giovanni Paolo II, vicina al quartiere ebraico. “Quartiere, appunto, non ghetto – ha sottolineato Samaan Daoud. In Siria ho respirato sin da ragazzo un clima di serena convivenza tra siriani delle tre religioni monoteiste, ebrei, cristiani di 18 confessioni, musulmani. Fino a tre anni fa”.

Poi? Poi la vita sua, della famiglia, della sua città, della sua patria sono state sconvolte dalla furia devastatrice. Ecco la sua esperienza diretta: “Nel 2012 abitavo nella periferia di Damasco. Tutte le sere tuonavano i mortai. Finora hanno esploso 3.500 colpi oltre alle 17 autobombe fatte saltare in aria”. Questa periferia contava 250mila abitanti prima del conflitto, ora sono 600mila, perché “la nostra gente ha aperto le porte a quanti fuggivano dai focolai più accesi della guerra, cristiani o musulmani che fossero”. Non che dove abitava non ci fosse pericolo: Samaan ha visto la sua casa colpita e il suo balcone distrutto; ha visto poi, sulla soglia dell’alloggio quasi sotterraneo che aveva di conseguenza preso in affitto, un bimbo di 6 anni maciullato dal proiettile di un mortaio. Altri due ragazzini uccisi allo stesso modo nel campo giochi lì vicino. Ha visto la comunità cristiana, che contava 2,3 milioni di persone, dimezzarsi: decine di migliaia di morti, un milione di profughi, e giovani che non conoscono più la speranza. Ha visto infine anche gente decisa a rimanere e resistere nella fede rischiando ogni giorno la vita: i martiri viventi.

Samaan ha raccontato che in Siria ci sono 30.000 jihadisti stranieri, provenienti da 80 paesi del mondo; almeno 3.000 di loro vengono dall’Europa, e sono giovani musulmani di seconda generazione, cioè nati in Europa da padre nato in Europa; 50 dall’Italia. “Ma quando il ministro degli Interni ne ha riferito in Parlamento, l’aula era vuota… di cosa si interessano i vostri politici? In compenso il vostro ministro della Difesa ha sostenuto l’alleanza con l’islam moderato. Si è guardata bene dal fare i nomi di costoro, ma è sottinteso che questi alleati sono Arabia Saudita e Qatar, cioè i due paesi nemici dei nemici degli Usa, e che definire moderati è falsità perché sono quelli con la legislazione islamica più radicale e feroce, senza il benché minimo spiraglio di libertà religiosa, dove la croce è un delitto e la donna conta zero; gli stessi paesi, infine, che finanziano terroristi e fanatici dell’Isis”. “Ora gli Usa – ha proseguito Samaan – promettono di combattere l’Isis: dovrebbero mettere la mordacchia a Qatar e Arabia, il che non sarà mai, e far chiudere le frontiere turche da cui entrano in Siria armi e jihadisti, cosa che si guardano bene dal fare. Prevedo che assesteranno qualche colpo ai jihadisti, ma soprattutto a beneficio dell’opinione pubblica occidentale, e basta. Nel frattempo l’ultimo dei loro pensieri sono i cristiani, quelli dell’Iraq come quelli di Siria. E pensare che papa Francesco l’ha detto chiaro: se viene cancellata la presenza cristiana in Medioriente viene cancellata la memoria della storia cristiana, viene colpito il cuore di Cristo. Ma l’importante è pompare petrolio e controllare il tubo del gas. Altro che primavere arabe della democrazia: il Qatar non ha nemmeno il parlamento; in compenso ha l’Alitalia”.

Samaan è un fiume in piena, tutto preso dal desiderio di far conoscere. Semplicemente, non per sostenere un partito (“non amo i partiti, non mi ci sono mail legato; voglio essere libero di dire quello che penso”). Ed eccolo mostrare il filmato sui tre giovani martiri di Maalula che hanno preferito morire cristiani piuttosto che vivere abiurando, “ma in occidente chi l’ha saputo?”. Ecco le foto (“che nessun giornalista occidentale ha mai scattato”) di Aleppo dilaniata dal terrore. Palazzi sbrecciati o rasi al suolo. Una casa incendiata, come tante altre, da bombole del gas lanciate con missili artigianali. Un tendone di traverso alla strada per nascondere i passanti dalla mira dei cecchini. Un muro di traverso al marciapiedi per dare un precario riparo alla gente che deve entrare o uscire di casa proprio lì, in quel punto così esposto. Fabbriche e fabbriche distrutte e svuotate di tutto: la zona industriale di Aleppo comprendeva 2.200 fabbriche che davano lavoro a 42.000 operai. Ora è deserto.
L’informazione occidentale? Salvo eccezioni, “congiura del silenzio” e della non conoscenza, e disinformacja. Mai detto nulla delle 200 teste tagliate agli “infedeli”. Mai data la notizia di due sedicenni musulmani sunniti crocifissi per non aver osservato certi dettagli del Ramadàn. Mai fatto sapere della dentista uccisa perché aveva curato due pazienti maschi. L’esercito arabo siriano? Per i media occidentali sono le “milizie di Assad”, il termine suona subito negativo ed il gioco è bell’e fatto. Grande clamore americano per i due giornalisti (della Cia) uccisi: ma neanche una piega da parte americana, né europea, per le 500 donne cristiane irachene vendute al mercato (se vergini agli sceicchi, perché troppo care per gli altri portafogli).

La possibilità di un intervento che rimetta ordine? “La comunità internazionale potrebbe, se volesse, fermare i fanatici, con l’azione militare e politica. Ma subito occorre mettere in atto un’opera di riconciliazione, di ricucitura del tessuto umano e sociale strappato. La parola chiave è perdono. Perdono, di cui dette nobile esempio il Gran Muftì di Siria (la massima autorità religiosa del Paese) cui avevano ucciso il figlio per vendetta. Ecco, occorre una politica del perdono. Alla violenza e all’odio occorre rispondere con l’amore. Come ben suggeriscono due drammatici simboli nati nella persecuzione: la corona del rosario che il vescovo latino di Aleppo si è fatto con i proiettili raccolti al posto dei grani, e la grande croce che i salesiani hanno costruito con schegge di mortaio, perché si può vivere la croce con gioia”.
Che fare per i cristiani? “Bisogna pregare per i cristiani della Siria, averli presenti come fratelli che stanno vivendo il martirio, e la cui testimonianza può e deve riaccendere la fede in occidente. E bisogna che essi sappiano tutto questo”. Come? “Penso a gemellaggi, o qualcosa del genere, tra parrocchie, o realtà cristiane, o scuole italiane e siriane, che favoriscano la conoscenza reciproca, lo scambio, l’amicizia. Basterebbe usare skype una volta al mese, guardarsi in faccia, raccontarsi la vita…”

P.S. – Il vescovo siro-ortodosso di Damasco, Gian Kauak, aiuta regolarmente 5.000 famiglie siriane (di cui 3.000 musulmane), che la guerra ha ridotto allo stremo. Il cattolico Samaan ha proposto di dargli una mano. Proposta accettata: gli sono stati destinati 610 euro raccolti su due piedi al termine della serata.

Maurizio Vitali