Takashi Nagai: cosa vince il nichilismo della bomba atomica

Quel che il meritevole film di Nolan non è riuscito a dire. Il registra aveva in mente di portare sullo schermo una storia. Contro l’atomica? Sicuramente accettandone, magari inconsapevolmente, la sua logica. Perché in “Oppheneimer” non ci sono le vittime di Horoshima e Nagasaki. E questo non può non pesare. Perché i testimoni contano. Come dimostra il cammino drammatica e di speranza di un sopravvissuto che ha voluto vivere. Che non si arreso al nichilismo dell’atomica. La voce di verità e di incontro di Tagashi Paolo Nagai.


29 settembre 2023
Editoriale

Una donna ucraina fugge dalla guerra rifugiandosi in Polonia

Da quando l’armata russa ha invaso l’Ucraina, insieme al dramma quotidiano di una guerra insensata, in più occasione è riecheggiata e continua a riecheggiare in qualche improbabile ma pericoloso dottor Stranamore, la minaccia del ricorso alla bomba atomica. Propaganda discutibile dall’acre sentore nichilista, o c’è dell’altro?
Difficile dirlo. Tuttavia, anche solo richiamarne il nome non può che destare preoccupazione e anche timore.
Nelle persone semplici, un tempo si sarebbe detto nei popoli.
D’altronde, come sappiamo, sganciare l’atomica sulle città non è certo una novità: l’uomo conosce, ne ha già fatto esperienza degli effetti devastanti.
Anche se con la memoria questo presente pare proprio non andare d’accordo. Benvenuto allora il film ben fatto di Christopher Nolan, uscito sul finire di agosto, che ha il merito non banale di aver acceso interesse su una tematica così dirompente (in tantissimi nel mondo lo hanno visto).
Il nostro Alessandro Banfi ne scrive su questo numero della rivista. Ma se ne occupa concentrandosi soprattutto su quel che il film oscura. Proprio sugli effetti terribili prodotti dalla bomba su Hiroshima e Nagasaki. Sul perché Nolan ha scelto di trascurare il calvario delle vittime. Gli innocenti. Purtroppo nella Storia, nei conflitti armati, nella violenza che tutto o quasi contamina, gli uomini senza potere hanno l’ingrato compito di essere agnelli sacrificali, effetti collaterali. In nome di altro. E ciascuno può indicare che cos’è quell’altro che stona con la verità e la bellezza della vita.
Il libro di Takashi Paolo Nagai, afflato autobiografico di speranza fin dal titolo “Ciò che non muore mai” (San Paolo) è quella luce che manca nel meritevole film di Nolan. È la voce intonata di chi a Nagasaki ha perso gli affetti più cari; di chi ha veduto, di chi non ha potuto e voluto dimenticare. Di chi ha mostrato, nel suo cammino di uomo libero, che nella vita c’è per davvero qualcosa che non muore mai. E lui, scansando qualsiasi pratica reticente, dà un nome a quel Qualcuno che innerva di senso la drammaticità del reale, il qualcosa: Gesù Cristo.  Nell’introduzione di padre Lepori si legge che «(…) la trama degli avvenimenti della sua vita, che però non sono solo suoi, ma proclamano l’opera di un Altro e annunciano una possibilità che è per tutti».

Takashi Paolo Nagai (1908 – 1951) con i figli, le lettere che arrivavano da tutto il mondo, nel suo Nyokodō (“il luogo dell’amore a se stessi”) a Nagasaky

Un nuovo orizzonte

Secondo la tradizione letteraria giapponese, le opere autobiografiche si scrivono in terza persona, ricorrendo a uno pseudonimo.
Takashi Paolo Nagai ha scelto quello di Ryūkichi. Significativo questo passaggio: «Era cambiato anche dentro, nell’anima. Si era aperto a un nuovo orizzonte. Rendendosi conto che era bastata la sola iniezione di due grammi di un estratto microbico per gettarlo sull’orlo della morte, quella presunzione di essere un grand’uomo, che sino ad allora lo aveva accompagnato, si schiantò in terra come un palloncino che di colpo si sgonfia. La fragilità della carne e la precarietà delle cose di questo mondo divennero un’esperienza viva. […] Così facendo era scampato per un pelo alla morte, a maggior gloria di Dio e per la sua stessa salvezza. Erano queste le due ragioni per le quali gli era stato concesso di avere la vita prolungata, non per gli onori del mondo o per il patrimonio o per la carriera. Ryūkichi portava queste cose incise nel cuore e divenne una persona completamente diversa nell’anima».

Il Nyokodō di Nagai Takashi presso il Memorial Museum (ナガサキシナガイタ)

No alla logica della bomba

Nagai ne è uscito cambiato, dunque. Ferito e straziato dentro; lui si è aperto a una novità, non ha ceduto alla logica distruttiva e semmai patriottica della bomba.
Non ha ceduto l’anima all’atomica. L’ha sconfitta, l’ha disinnescata.
Nagai è arrivato laddove Nolan non ha potuto o voluto. Nolan aveva in mente di realizzare un’altra cosa. Contro la bomba, certo; in ogni caso irretito dalla sua logica. Takashi Paolo Nagai ha accettato in libertà di guardare in faccia tutto e per questo di continuare ad amare la vita.
Eccolo qui il suo sguardo penetrante che è pensiero di pace vera: «Quando si rese conto che aveva dedicato tutta la sua vita a lavorare per qualcosa che alla fine sarebbe diventato cenere, rimase sconvolto. Tutta una vita per della cenere! Non poteva sopportare una vita senza senso! Doveva trovare ciò che non perisce. Doveva aggrapparsi a ciò che non muore mai. Il tempo passa, lo spazio svanisce, gli esseri viventi muoiono ma noi dobbiamo vivere la vita in modo che rimanga ciò che non perisce, ciò che non muore. «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno». Aveva compreso che ciò che oltrepassa il tempo e lo spazio e rimane per sempre è la Parola di Gesù Cristo che è Dio. La vita nella Sua Parola, la vita con la Sua Parola, la vita che ama Dio ed è amata da Dio, la vita soprannaturale, la vita dello spirito: è questa la vera vita che un uomo deve vivere. Ryūkichi aveva perso tutto. Ma stava entrando nella sua nuova vita, nella ricerca di ciò che mai avrebbe potuto perdere. In una piccola capanna nel mezzo della landa atomica spazzata dal vento, con due bambini piccoli tra le braccia e il corpo che non può più muovere come vorrebbe, Ryūkichi ora conduce la sua vita nel fulgore».