Vedere “Zamora” per leggere il libro di Roberto Perrone

L’attore Neri Marcorè firma la sua prima regia cinematografica. Portando sul grande schermo il bellissimo libro di una penna raffinatissima del giornalismo italiano. Una storia dove c’è il calcio e molto altro. La vita con le sue angolazioni e triangolazioni. La vita che si può provare a parare per non perdere la partita. La vita che non si può parare perché non vale solo curar la fase difensiva.


26 aprile 2024
Il magico quotidiano
di Giancarlo Grossini

Neri Marcorè e il film Zamora

Ci sono tradimenti che vanno a buon fine, e che permettono di ottenere risultati benauguranti. Un film, “Zamora”, legato all’esordio alla regia di uno dei più ammirati attori di casa nostra, Neri Marcorè, e ispirato, perché è qui che si consuma il “tradimento”, a un romanzo, il bellissimo “Zamora”, da riscoprire anche grazie ad una riedizione cartacea per i tipi di HarperCollins. Lo scrisse nel 2002 una penna finissima della carta stampata, Roberto Perrone, scomparso lo scorso anno, il 29 gennaio a Milano, sua città “adottiva” dove la sua anima ligure sapeva fondersi in un mix originalissimo fra sport e esaltazione del senso del gusto.

Il piacere di guardare, il piacere di leggere

Tradimento, si diceva, perché l’opera prima dell’altro “finissimo” conoscitore e frequentatore di set, Marcorè ha oltrepassato la scrittura di Perrone in sede di cosceneggiatore, adattando altre pagine alle necessità più squisitamente cinematografiche. Dalle location nel vigevanese al team di famiglia, alle caratterizzazioni dei personaggi, uno su tutti “l’omone”, il commendator Tosetto, che diventa un imperdibile Giovanni Storti di tutt’altra fisicità (che di calzature porta il 39, e ha un fisico asciutto e snodabilissimo, temprato anche dall’uso di bicicletta in zona Chinatown milanese). Ma questi sono peccati, se proprio vogliamo trovarli nell’adattamento per il grande schermo, peccati veniali. Perché c’è soprattutto un merito, non da poco: riuscire con un film a far tornare la voglia di replicarne le emozioni leggendo la base del soggetto, il libro di Perrone.
È quell’alchimia sopraffina capace di unire due dimensioni culturali e farne un unicum in grado di soddisfare il piacere del guardare e del leggere. Ci si appassiona al film e si flirta con il Walter protagonista, un bravissimo Alberto Paradossi, accompagnato da una altrettanto efficace nell’imprimerà la modernità del personaggio di Ada come lo descrive Perrone, Marta Gastini, e qui chapeau a Cristina Audisio che ne ha curato i costumi (la lode va a tutto il cast, addobbato come gli anni Sessanta milanesi richiedevano e che fan da coloratissimo sfondo).

Aria felliniana

E si sente la voglia di rileggerlo il film, nel testo di Perrone. Un’esperienza che si consiglia a tutti. Scivola come un perfetto canovaccio di invenzioni letterarie, di angolazioni diverse dalle quali scrutare e scoprire punti impensati di racconto, basti ricordare il peso della “simulazione”, chiave di volta per il protagonista. E ancora non si dimenticano la solidità della scrittura con benefattori dell’umanità che creano panchine, perché pure in piccoli dettagli si disvela la capacità dell’autore.
Parlare di “Zamora” significa entrare anche in un campo minato, un campo dei Tre Pini, sede di partite di calcio. Attenzione a come viene “trattata” la materia. Non c’è la violenza dell’oggi, portata all’estremo dai genitori che usano i loro piccoli come appendici di sogni non realizzati allo stadio, non c’è quell’eloquio terribilmente acro che accompagna i cosiddetti “tifosi” nelle trasferte delle squadre del cuore trasformate in sedi di guerriglia.
C’è in Perrone, e nel Marcorè, un’aria felliniana dell’amarcord, un ricordare venato di quella nostalgia che fa bene all’anima. E in qualche momento nel film si respira ancora la salubre aria da neve del mago di Rimini. Spesso accostato a Olmi e Avati, lo stile di Marcorè regista, sperando gli faccia piacere, pesca soprattutto con intelligenza in quella lezione di Fellini, con quel suo palpito reale e irreale insieme del magico quotidiano, come lui amava trasferire nei suoi personaggi.